30 agosto 2007

Gatto diabolico, stazione bloccata

(Il Salvagente)

di Francesco Martini

A Roma, davanti al binario dodici della stazione Termini, vicino a una locomotiva spenta, gli uomini della Polizia Ferroviaria stanno accucciati, attenti, con gli occhi puntati sui binari. Al loro fianco, nella stessa posizione, c’è il personale dell’Eurostar delle nove e quarantacinque, che dovrebbe andare a Reggio Calabria ma non si è mosso dalla stazione. I passeggeri, stanchi di aspettare, sono scesi dalle carrozze. Così, sotto il sole rovente, sulla banchina, ci sono centinaia di persone che si chinano e scrutano fra le ruote del treno. Ogni tanto qualcuno fa schioccare la lingua e lancia un richiamo: “Micio? Vieni qui, micio!”

 Il gatto che lunedì 20 agosto è sfuggito alla padrona bloccando un convoglio di 440 tonnellate con più di 400 passeggeri non ha risposto agli appelli e non è stato ritrovato. Eppure lo hanno cercato in tanti, a lungo.
La scena, nei primi cinque minuti, pareva divertente. Dopo un'ora, un po' meno.
Durante le ricerche del gatto, per il gran caldo, un passeggero si è sentito male ed è stato soccorso.
Questo eroe del mondo felino, da solo, ha fatto più danni di un sabotatore professionista.
Non solo l’Eurostar ha accumulato più di due ore di ritardo, ma a causa del rallentamento, per un terribile effetto a catena, sono saltate le coincidenze ferroviarie in metà del Paese, fino alla Calabria, proprio nei giorni di controesodo, quando Trenitalia annunciava il “tutto esaurito”.
Si capisce, quindi, l’imbarazzo dei responsabili della "sala controllo" delle Ferrovie che avevano il compito di compilare un rapporto sull’avvenuto. Nell'incertezza hanno scritto: “Investimento di animale”, per quanto sia difficile, per un treno immobile, investire qualsiasi cosa. Il sole d’agosto, comunque, gioca scherzi anche peggiori perché il famoso gatto, in conclusione, sotto i binari non c'era.
“Non l'abbiamo trovato. Quando l’Eurostar è partito – racconta un agente della Polizia ferroviaria – abbiamo cercato i resti. Non c'era nulla. Però la padrona l'ha visto scappare là sotto. Che dovevamo fare?”
Un bel dilemma. Anche perché gli Eurostar sono treni bassi, lo spazio sotto le ruote è praticamente invisibile e i gatti sono animali capricciosi, vanno e vengono e fanno un po’ cosa gli pare.
Prima o poi, nonostante tutto, bisognava ordinare la partenza, per evitare di ingolfare la circolazione in mezza Italia. Ma alla stazione Termini, per un'ora, nessuno ha saputo prendersi la responsabilità.
La proprietaria del gatto, una signora minacciosa, invocava tribunali e leggi contro le atrocità sugli animali. I responsabili di Trenitalia, intimiditi, hanno scaricato il problema sulla Polizia ferroviaria e i poliziotti, nel dubbio, hanno confermato il fermo del treno. Forse speravano che il gatto spuntasse spontaneamente dai binari, togliendo tutti d’impaccio.
La signora non è stata denunciata per interruzione di pubblico servizio perché, come spiegano gli agenti di Polizia, “l’animale l'ha perso davvero”. Chi vuole fermare un treno, quindi, non deve più sdraiarsi sui binari. Bastano tre parole: “Ho perso il gatto”. Lo spettacolo è assicurato.
Ma i passeggeri sono stati risarciti? “Non è possibile un risarcimento - gli hanno detto in stazione - perché il ritardo non è imputabile a Trenitalia”. Insomma, chiedete al gatto.

Cinquantaquattro alpini inferociti
Ma chi stabilisce le cause dei ritardi? Lo chiediamo a un ex dirigente della sala operativa, che risponde in modo chiaro: “Le cause vengono riportate direttamente dal personale delle Ferrovie”.
E c’è qualcuno che controlla se rispondono a verità?
“No. Solo per i treni locali le Regioni chiedono di conoscere l’elenco con le motivazioni dei ritardi. Ma non indagano sul lavoro di compilazione dei rapporti e sulla loro attendibilità. Può succedere, quindi, che se il treno ha accumulato ritardo per due motivi diversi e separati, nel rapporto ne venga segnalato uno soltanto. Di solito viene scelto quello che esclude l’azienda da ogni responsabilità”. Così i clienti non ricevono il risarcimento.
Di questo strano metodo esistono alcuni esempi eclatanti. L'ultimo di cui abbiamo notizia ha 54 testimoni: l'intero Club alpino di Novara, in viaggio da Alessandria a Milazzo. Il treno con 54 cuccette prenotate, per una coincidenza sfortunata, arriva ad Alessandria con 54 minuti di ritardo.
“Alcune cuccette - raccontano gli alpini - erano prive di scale. Siamo esperti di arrampicate, con qualche passo di equilibrismo abbiamo raggiungiunto i piani superiori, altrimenti alcuni avrebbero dovuto sdraiarsi per terra”.
Il viaggio per la Sicilia è lungo ma senza particolari intoppi. Però a Messina il treno si ferma: le porte sono troppo strette per il passaggio della carrozzella di un disabile.
In conclusione gli alpini arrivano a Milazzo con un’ora e tre minuti di ritardo. Attenzione ai tempi, che ora viene il bello.
Alle 54 richieste di rimborso, Trenitalia risponde che “un minuto di ritardo è da ascrivere a evento programmato e preventivamente pubblicizzato". Spiegazione misteriosa, ma pazienza: cos'è un minuto? Altri quattro minuti "sono da ascrivere a furti o danneggiamenti da parte di estranei”. Altra motivazione insolita, ma su quattro minuti non è il caso di sottilizzare. Piuttosto, restano da spiegare gli altri cinquantotto. “Il residuo ritardo accumulato - risponde Trenitalia agli alpini - non raggiunge il limite di un’ora previsto dalla Carta dei Servizi". E quindi "non comporta l’erogazione del bonus”.
Ecco fatto. Geniale!