2 agosto 2007

Grandi Stazioni piccoli investimenti

I LAVORI DOVEVANO FINIRE DUE ANNI FA, MA RESTANO SULLA CARTA

(Il Salvagente)

di Francesco Martini

Ma la stazione di Firenze Santa Maria Novella, non doveva essere rimessa a nuovo? E quella di Bologna? E a Palermo quando iniziano i lavori? E a Venezia Santa Lucia, Verona Porta Nuova, Genova Principe, Bari Centrale?
Sono dodici le grandi stazioni italiane in attesa di restauro: i lavori dovevano cominciare sette anni fa. Ma i cantieri non aprono, oppure vanno a rilento, e la maggior parte dei progetti è solo sulla carta. Come mai, in tanto tempo, è stato fatto così poco?



I restauri, nel Duemila, sono stati affidati dalle Ferrovie dello Stato a Grandi Stazioni Spa. La società, partecipata da Marco Tronchetti Provera, Gaetano Caltagirone e dalla famiglia Benetton, ha ottenuto in concessione i tredici principali scali ferroviari (compresa Roma Termini, ristrutturata già l’anno prima) per un tempo straordinariamente lungo: fino al 2040. Una miniera di diamanti, perché Grandi Stazioni raccoglie affitti stratosferici, offre spazi pubblicitari a peso d’oro e rastrella una quota
dal 10 al 25 per cento per ogni panino, libro, vestito, o qualsiasi altro prodotto venduto attorno ai binari. Non a caso, con una clientela di 600 milioni di frequentatori l’anno, può vantare un fatturato di 170 milioni di euro e 17 milioni di utili, sempre in crescita.
Ma il diritto di sfruttamento della miniera era legato a una condizione: investire 557 milioni di euro per restituire lustro ai grandi scali ferroviari. In sette anni, gli italiani hanno assistito a un balletto di cifre, che fra gare d’appalto fallite e leggi obiettivo, cambiavano di continuo. Di sicuro, dopo un lunghissimo tira e molla, Grandi Stazioni è sempre al punto di partenza. Ha sborsato appena 16 milioni di euro e i lavori sono cominciati solo a Milano Centrale, Torino Porta Nuova e Napoli Centrale. Non sono mai partiti, invece, i cantieri di Venezia Santa Lucia, Venezia Mestre, Verona, Genova Principe, Genova Brignole, Bologna, Napoli Piazza Garibaldi, Bari e Palermo. “È vero. Siamo in ritardo”, ammettono a denti stretti dalla società, confermando che “i lavori dovevano essere conclusi entro il 2005”.

La guerra interna

In questi giorni, però, la storia ha preso una nuova piega. Negli ultimi cinque mesi, il consiglio d’amministrazione di Grandi Stazioni era in subbuglio: si è giocata una sfida fra Ferrovie dello Stato, che detiene il 60 per cento del capitale, e i gruppi Vianini (di Gaetano Caltagirone), Pirelli (di Marco Tronchetti Provera) ed Edizione Holding (della famiglia Benetton), che partecipano alla società attraverso lo holding Eurostazioni. Sono azionisti di minoranza, ma abituati al comando. Negli ultimi sette anni hanno sempre avuto mano libera, tanto da nominare i dirigenti e indirizzare gli investimenti.
La situazione è rimasta immutata fino al 2006, quando Mauro Moretti, nuovo amministratore delle Ferrovie - nonché ex sindacalista Cgil - si è messo in testa di riprendere le redini di Grandi Stazioni. Anche perché è un’azienda di successo, una delle poche società del gruppo Fs con un bilancio in attivo, che lavora anche fuori dall’Italia. Il modello di Roma Termini ha suscitato l’interesse delle
Ferrovie d’Ottobre, in Russia, e le ferrovie Ceche hanno già commissionato il restauro di Praga Centrale e di due piccole stazioni della Boemia, affidate in concessione per trent’anni.
Per riprendere il timone di Grandi Stazioni, come prima mossa gli amministratori Fs hanno istituito una Commissione interna, per chiarire il motivo dei ritardi negli investimenti. All’inizio di quest’anno,
la resa dei conti: l’assemblea degli azionisti resta paralizzata, incapace di trovare un accordo, per ben quattro mesi, finché le Ferrovie hanno la meglio.
Così, nei giorni scorsi, cambiano i nomi degli amministratori, e i responsabili dei settori più delicati (come l’ufficio Finanza e controllo) vengono sostituiti.

False partenze

Eppure il progetto Grandi Stazioni era partito bene. Nel 1998, in occasione del Giubileo, Roma Termini annunciava un modello di rapidità ed efficienza, cambiando volto in soli 18 mesi. È nel
Duemila, quando i privati acquistano il 40 per cento della società per 206 milioni di euro, che la macchina si ferma. Il contratto di concessione prevede investimenti per altri 269 milioni di euro. Ma invece di ripetere il modello Termini, la società si limita a raccogliere i profitti già assicurati, accumulando ritardi nella stesura dei progetti.
Nel 2003, con il governo Berlusconi, il progetto Grandi Stazioni fa il suo ingresso trionfale nella legge per le Grandi Opere. Le buone intenzioni non costano nulla, perciò le “previsioni di investimento” salgono a 700 milioni di euro, anche grazie a un ipotetico contributo statale di 260 milioni.
Solo nel 2004, finalmente, Grandi Stazioni bandisce la prima gara, un maxiappalto da 557 milioni di euro per la progettazione e l’esecuzione, in un colpo solo, del restyling di tutte e dodici le stazioni. Il gigantismo dell’operazione solleva parecchie perplessità, soprattutto fra le imprese di costruzioni. Le
uniche in grado di partecipare (Impregilo, Pizzarotti e il consorzio Ccc) disertano la gara. Grandi Stazioni ripiega su una gara straordinaria, ma solo per Milano, Torino e Napoli Centrale.
Perché non Bari, oppure Palermo? Di sicuro, gli scali ferroviari che ottengono la procedura d’urgenza sono i più trafficati e potenzialmente anche i più redditizi. E le altre nove stazioni? Senza imparare
dai propri errori, nel 2005, la società organizza un’altra maxi-gara da 335 milioni di euro, per appaltare tutti i lavori rimasti indietro, dalla Liguria alla Sicilia, sempre in un colpo solo. Ma i costruttori, per la seconda volta, non si fanno vedere. Finalmente, Grandi Stazioni divide l’appalto in cinque parti.
Sono stati aggiudicati a dicembre: i lavori dovrebbero durare da due a quattro anni.
Calma però: sono ancora in fase di progettazione…


150 MILIONI DI FREQUENTATORI L’ANNO
Il caso RomaTermini, una miniera d’oro con profitti record
L’UNICA STAZIONE RIMODERNATA, RICEVUTA GIÀ PRONTA “IN DOTE” DAGLI AZIONISTI PRIVATI, FA AFFARI D’ORO. E PIACE ANCHE AGLI UTENTI.

Basta entrare nella stazione Termini per capire chi comanda. Se vuoi un panino, puoi comprarlo da Autogrill, il servizio di ristorazione del gruppo Benetton, azionista di Grandi Stazioni.
La pizza? Si trova da Spizzico, sempre dei Benetton, che si occupa anche del dopo pasto, con le caffetterie ACafè.
E al centro dell’atrio, tanto per cambiare, uno dei negozi più in vista, su due piani, è United Colors of Benetton.
La storia si ripete con Pirelli, altro azionista di Grandi Stazioni, che controlla Telecom e ha un
bel Centro Timsul piano rialzato della stazione (di Wind e Vodafone, invece, neanche l’ombra).
Intendiamoci:i negozi e la concorrenza non mancano, per ben 180 diverse categorie di prodotti.
Nel 1999 Termini è stata trasformata in una gigantesca vetrina commerciale, dedicata ai 150 milioni di frequentatori l’anno. Che in un sondaggio Eurisko hanno premiato la stazione romana dimostrando un altissimo grado di soddisfazione. Lo stesso sondaggio, però, condotto sugli altri dodici scali di Grandi Stazioni - quelli mai ristrutturati, a dispetto degli accordi di concessione e della legge per le Grandi Opere - ha dato risultati completamente diversi: bocciati i servizi, l’offerta commerciale e la pulizia generale.
Invece Termini, a parte qualche errore di progettazione (il piano sotterraneo ha problemi di circolazione dell’aria, appesantita dalle fritture a ciclo continuo di un McDonald’s), è un successo.
Grandi Stazioni ha saputo spremere denaro da ogni centimetro dei suoi 225mila metri quadrati di superficie. Nel Duemila, quando sono subentrati gli azionisti privati, l’hanno trovata già pronta, completamente restaurata: non restava che riscuotere gli affitti.Altissimi.
“Noi paghiamo 6mila euro al mese”, racconta il conduttore di un piccolo negozio, una quindicina di metri quadri al piano interrato. E aggiunge: “Grandi Stazioni ci chiede anche una percentuale
sul fatturato”. Dalla società ci confermano che la percentuale “è del 20-25 per cento sul primo
margine”, anche un quarto, insomma, del guadagno del negoziante.
Anche se i clienti non mancano, però, molti negozianti si dicono scontenti. La proprietaria di un grande esercizio nel seminterrato ci confida che “i prezzi, all’interno della stazione, sono molto più alti. Siamo costretti a tenerli così, altrimenti rischiamo di andare in perdita. Quello che noi vendiamo a 2,60 euro, a due passi da qui si trova a 2 euro. I clienti se ne accorgono e quando arrivano alla cassa protestano. Se sommiamo l’affitto, la percentuale sul fatturato e i costi del personale, il margine di profitto diventa davvero sottile”. Ecco perché la nostra interlocutrice ha deciso di trasferire altrove
la sua attività: “Avere un negozio, qui dentro, conviene solo ai grandi marchi, che possono sfruttare la stazione come vetrina. Per gli altri, è una partita persa. Sembrerà incredibile, ma non
riesco a trovare nessuno disposto a rilevare il negozio”. ●

In attesa parcheggi e telesorveglianza

Ai parcheggi ci pensa lo Stato. Fra le centinaia di milioni di euro dedicati alla ristrutturazione
delle stazioni - e mai investiti - 260 sono dedicati alle “opere complementari”.
Nel 2003, il governo si interessò al progetto Grandi Stazioni e inserì anche i 13 scali ferroviari nel lungo elenco della Legge obiettivo. Lo Stato si è candidato a spendere 260 milioni di
euro per la costruzione di parcheggi e sistemi di videosorveglianza. Di questi, poco meno della metà
sono destinati alla Stazione Termini. Le altre stazioni aspettano di essere ristrutturate, ma Termini è
pronta per i nuovi lavori già dal 2003: ciò nonostante, nulla si muove.
Telecamere e parcheggi saranno gestiti sempre dallo stesso soggetto: Grandi Stazioni. I parcheggi potrebbero essere molto redditizi. Ma anche la videosorveglianza è un affare ghiotto.
Per un pelo, nel 2004, Grandi Stazioni non affida le telecamere di Termini a un misterioso personaggio, che si offre di pagare il lavoro di tasca propria: 17 milioni di euro. In cambio, fa una strana proposta: vuole usare liberamente le immagini. Chi è? Per chi lavora?
Ma è proprio lui, l’intrigante faccendiere al Polonio 210: Mario Scaramella.
L’affare, per fortuna, non si è mai concluso.