30 marzo 2006

Immigrati e permessi, l'umiliazione di Poste

(Il Salvagente)

di Francesco Martini


Per tre giorni sono rimasti sul marciapiede e hanno passato la notte al freddo con le coperte e i viveri della Caritas, ma all’ora fatidica, alle 14.30 di martedì 14 marzo, quando è iniziata la grande gara per i permessi di soggiorno, le saracinesche rimaste abbassate. Gli uffici postali non hanno aperto in tempo. Così è svanita, per centinaia di immigrati, l’opportunità di un lavoro regolare: volevano consegnare i moduli per primi nella speranza di entrare nelle graduatorie, ma alcune agenzie di Poste hanno aperto con grave ritardo, quando la soglia delle 170mila richieste previste dal decreto flussi era già stata superata (alle 14.31 ne erano già state presentate 30.000).
Eppure sui giornali, in queste settimane, il ministro degli Interni Scajola e l’amministratore delegato di Poste Italiane, Sarmi, ci hanno assicurato che tutto è filato liscio, e che la gestione delle oltre 480mila domande è stata un capolavoro di efficienza. Grazie a un raffinato sistema di lettori ottici e collegamenti informatici, nei 20mila sportelli dedicati agli immigrati (“avremmo potuto aprirne 25mila”, ha dichiarato Sarmi, senza spiegare perché sono rimasti chiusi) sono stati registrati l’ora, il minuto, il secondo e il decimo di secondo di consegna dei moduli. Un grande, impeccabile meccanismo a orologeria? Non proprio.


Per i lavoratori stranieri in cerca di un lavoro regolare è stata l’ultima delle beffe: hanno vissuto nel rischio di essere espulsi, lavorando in nero, facendo i mestieri più sfiancanti spesso sottopagati e per essere regolarizzati si sono sottoposti a una trafila umiliante, con tre giorni di calvario su un marciapiede, rischiando di finire in una retata della Polizia, come chiedeva a Scajola il ministro della Giustizia Castelli. Ma alla fine, quando erano a un passo dal traguardo, non sono stati premiati. Cosa è successo? “Non tutto si è svolto in maniera regolare”, spiega Paolo Soldini della Cgil immigrati, e aggiunge: “Ce n’è abbastanza per ritenere nullo l’intero procedimento. Perciò chiederemo di rilasciare il permesso di soggiorno a tutti i 480mila immigrati che ne hanno fatto richiesta e che ne avrebbero diritto, correggendo il decreto flussi”. E’ dello stesso parere l’avvocato Marco Paggi, dello Associazione studi giuridici sull’immigrazione: “In linea teorica – dice – la graduatoria si può ritenere annullabile”.
Alcuni uffici postali, a quanto ci risulta, non disponevano neppure dell’attrezzatura adeguata: mancava, ad esempio, la connessione a banda larga. Altri, addirittura, hanno aperto in ritardo, come ci conferma il ministero dell'Interno. Sugli uffici postali, oltretutto, non è stato esercitato alcun tipo di controllo: dal Viminale ammettono che non sono state condotte ispezioni e che in nessuna agenzia erano presenti funzionari dello Stato.
“Il metodo di assegnazione dei permessi di soggiorno è indecente. Se deve essere una lotteria, che sia almeno trasparente. Le regole erano pochissime. Non sono state rispettate neanche quelle” commenta Soldini della Cgil. Tralasciando le polemiche sulla Bossi-Fini, il decreto flussi e la defatigante “lotteria” dei permessi di soggiorno, torniamo all’ingranaggio cigolante di Poste Italiane. Il ministero dell’Interno, durante la compilazione delle graduatorie, terrà conto dei ritardi e degli intoppi negli uffici postali? L’abbiamo domandato a un dirigente (il Viminale ha chiesto di non pubblicare il nome) del gruppo tecnico di lavoro interministeriale che si occupa dell’attuazione della Bossi-Fini e che segue da vicino il processo di elaborazione delle domande: “Non si terrà conto dei ritardi. Per noi fa fede l’orario sui moduli. Ognuno deve assumersi le sue responsabilità. E questa è una responsabilità di Poste Italiane, a cui è stato affidato l’intero procedimento” afferma il dirigente, per cui “se qualcuno è stato trattato in maniera irregolare, deve rivolgersi direttamente alle Poste”.
Dal ministero del Welfare riceviamo la stessa indicazione: parlare con Poste Italiane. Visto che i dirigenti degli uffici postali ritardatari, quando affrontiamo l’argomento, ci sbattono il telefono in faccia, chiediamo ai responsabili dell'azienda controllata dal ministero del Tesoro di spiegarci cosa è successo quel martedì.
Abbiamo domandato, formalmente: quanti ritardi sono stati accumulati dalle agenzie; come mai non sono stati aperti tutti e 25mila gli sportelli disponibili; se è vero, come ci risulta, che molte delle agenzie interessate non dispongono di una connessione a banda larga; se il sistema informatico, oltre all’orario, ha doverosamente tenuto nota del numero di sportello da cui sono state inviati moduli e magari anche dei nomi dei funzionari che li hanno ricevuti e se è vero che il ministero dell'Interno, con una circolare, ha dispensato Poste Italiane dall’organizzare le code, mettendo a repentaglio la sicurezza degli immigrati. Poste non rifiuta di rispondere: sarebbe gravissimo. Di fatto, però, non ci ha ancora fornito le informazioni che abbiamo chiesto, ed è trascorsa una settimana. Aspettiamo fiduciosi.

Viaggio senza fine fra le carte bollate
Se ne riparla fra qualche mese: l’iter dei permessi di soggiorno, grazie all’informatica, in teoria dovrebbe essere più veloce. Di fatto, è ancora lungo e lento.
I moduli di domanda sono raccolti nel Centro servizi di Poste Italiane. Spetta alle Poste, infatti, il compito di scartare i documenti compilati nel modo sbagliato e compilare una graduatoria principale. Il primo controllo, quindi, non è svolto dal ministero, ma dagli impiegati di un'azienda di diritto privato.
A poco a poco le pratiche vengono inviate al Centro elaborazione dati del ministero dell’Interno, che stabilisce le graduatorie provinciali e le trasmette agli Sportelli unici. Che però, in alcune province, non esistono ancora: fanno riferimento le Direzioni provinciali del lavoro.
A questo punto c'è un altro passaggio tortuoso, che potrebbe rendere inutili molte pratiche. Quando le domande risultano approvate, viene inviata una notifica ai datori di lavoro che devono assolutamente rispondere con una conferma entro quattro giorni. Nel frattempo, però, gli immigrati irregolari che hanno presentato i moduli dovrebbero tornare al paese d’origine per ritirare il nullaosta. Se si fanno scoprire senza documenti, infatti, sono guai: rischiano l’espulsione e quindi l’annullamento di tutta la pratica. Al ritorno, dovranno presentarsi allo Sportello unico insieme al datore di lavoro (sempre che questi non abbia cambiato idea, il che non è raro).
Discorso diverso per i lavoratori stagionali. Il decreto flussi ne prevede 50.000, sono impiegati soprattutto nel settore agricolo. Le loro pratiche vengono trattate “d’urgenza”, perciò dovrebbero essere pronte già a metà aprile. Ma Roberto Magrini, responsabile delle politiche sociali di Coldiretti (il 15 per cento dei lavoratori agricoli è immigrato) sostiene che la procedura d'urgenza non basta: anche per il settore agricolo “in questi giorni si registrano lentezze”.