14 aprile 2005

L'Adsl al Sud? Per molti resta un puro sogno

GLI ESPERTI PARLANO DI "DIGITAL DIVIDE" PER DIRE CHE LA TECNOLOGIA
INFORMATICA, ANZICHÉ ACCORCIARLE, HA ACCRESCIUTO LE DISTANZE FRA LE
DUE ITALIE.
LA PROTESTA ARRIVA A BRUXELLES

di Francesco Martini


La rivoluzione della banda larga, nel Sud Italia, non è mai arrivata: in Calabria, ad esempio, ne hanno sentito solo l'eco. Gli esperti lo chiamano "digital divide", divisione digitale: significa che la tecnologia informatica, invece di accorciare le distanze, in Italia è servita a sottolineare la disparità fra Nord e Sud del paese.

Gli italiani sono bombardati dalle pubblicità dei gestori di telefonia, che non si limitano più a offrire semplici connessioni a Internet, ma scendono in dettagli di gigabytes, tv on demand, e-commerce. Parole che per un enorme numero di persone appartengono a una realtà astratta, irraggiungibile, visto che le potenzialità di Internet, in moltissime zone, non possono essere sfruttate. Per vedere le partite di calcio sul computer, ascoltare musica, fare conferenze, attivare siti commerciali o semplicemente visualizzare la maggior parte delle pagine senza essere costretti a interminabili (e costose) attese di fronte al video, serve una connessione a banda larga (per intenderci: l'Adsl). Che in gran parte del Mezzogiorno e in tanti piccoli comuni è impossibile, perché le linee telefoniche non sono ancora adeguate.

La rabbia degli esclusi
Negli ultimi anni gli "emarginati" di Internet (imprenditori, commercianti, privati cittadini) hanno atteso inutilmente l'arrivo dei cavi ad alta velocità: ora cominciano a stancarsi, perciò si riuniscono in comitati di protesta, che fanno sentire sempre più forte la loro voce.
L'ultima denuncia, ad esempio, è arrivata fino a Bruxelles, negli uffici della Commissione europea: nei giorni scorsi l'Associazione Anti digital divide ha chiesto che si ponga fine "alla condizione di disomogeneità dei prezzi praticati agli utenti italiani, che soffrono già di una copertura della banda larga minore di quella degli altri Stati membri". Nella denuncia l'Associazione propone una multa di 200 milioni di euro a Telecom Italia, proprietaria di circa 26 milioni di linee di rete, ritenuta responsabile della carenza di infrastrutture per la connessione veloce.
"Ci siamo rivolti alla Comunità europea, e non all'Antitrust italiano, perché riteniamo che la situazione del nostro paese debba essere confrontata con quella di altri Stati europei, come la Francia e la Germania" spiega Mauro Guerrieri, segretario dell'Associazione fondata a Torino il 1° marzo scorso.
Il problema della "divisione digitale" è ampiamente documentato anche dalla "Task force per la larga banda" del ministero dell'Innovazione che ha il compito, fra l'altro, di monitorare la diffusione delle connessioni Adsl.

Monitoraggi diversi
Nel rapporto del ministero, presentato all'inizio dello scorso anno, si legge che il 70 per cento degli italiani ha la possibilità di collegarsi a Internet con l'Adsl. La percentuale cambia, però, da una regione all'altra: in Puglia, Molise, Calabria e Basilicata l'Internet veloce raggiunge solo il 15 per cento degli utenti. Telecom, invece, fornisce dati nazionali aggiornati al presente, molto più ottimisti: secondo l'ex monopolista l'83 per cento degli italiani oggi può usare l'Internet veloce. L'azienda preferisce non commentare la denuncia dell'Associazione anti digital divide. Ma ci fornisce una previsione: "Entro la fine dell'anno riusciremo a portare l'Adsl al 91 per cento degli italiani".
Il segretario di Anti digital divide è scettico: "Non è la prima volta che sentiamo promesse del genere" commenta Guerrieri, e aggiunge: "Perché le parole si trasformino in realtà bisogna attivare nuove centraline. Ma in molte zone gli operatori non sembrano interessati a investire. Gli incentivi statali per la banda larga poi non aiutano: invece di incentivare l'attivazione delle centraline, servono a offrire contratti a prezzo scontato. In questo modo aumentano gli abbonati ma il servizio resta scarso e pieno di buchi".


LUCIO STANCA, MINISTRO DELL'INNOVAZIONE
"Ma anch'io sono senza banda larga"
MENTRE LA DIGITALIZZAZIONE ANNUNCIATA DA BERLUSCONI A "BALLARO' " E' ANCORA IN ALTO MARE.

Il presidente dei Consiglio, di fronte alle telecamere di Ballarò, martedì 5 aprile, ha detto che lo Stato risparmierà "due miliardi di euro grazie alla digitalizzazione degli archivi pubblici". Un risparmio indispensabile, visto che Berlusconi, per il prossimo anno, ha già promesso di tagliare 12 miliardi di tasse.
Abbiamo chiesto ai responsabili del Cnipa, l'ufficio governativo che si occupa dello sviluppo informatico nelle pubbliche amministrazioni, di chiarirci alcuni dettagli. Ma degli “archivi digitali”, per ora, al Cnipa non sanno nulla e sono convinti che sia un progetto a lungo termine.
Perciò abbiamo girato la questione direttamente al ministro dell'innovazione, Lucio Stanca. “Il presidente Silvio Berlusconi – dice il ministro al Salvagente - si riferisce al fatto che con queste tecnologie si possono realizzare enormi risparmi e recuperare maggiore efficienza della macchina burocratica. La pubblica amministrazione produce una vera e propria montagna di documenti: secondo un calcolo approssimativo, ma molto realistico, la quantità di carta prodotta annualmente equivale al volume di un edificio come il Duomo di Milano”.
Ministro Stanca, in cosa consisterebbe la "digitalizzazione"?
L'impegno che ci siamo posti e che stiamo già realizzando è di usare le tecnologie oggi disponibili in tutti i ministeri, trasformando buona parte dell'archiviazione da cartacea a digitale. Così che nei prossimi mesi e anni il risparmio sarà di almeno qualche miliardo di euro.
Perché?
Se non altro, perché libereremo spazio. Diverse amministrazioni, infatti, per archiviare i documenti hanno dovuto affittare locali, spendendo milioni di euro. Non solo: con la digitalizzazione si automatizza la burocrazia e si liberano risorse umane per altre attività più produttive.
L'ex ministro Mazzella, ad agosto, aveva già detto al Salvagente che la digitalizzazione delle amministrazioni pubbliche sarebbe stata realizzata entro l'autunno. Ora qual è la previsione?
L'ex ministro Mazzella potrebbe essere stato mal interpretato. La digitalizzazione di una struttura complessa come la pubblica amministrazione può avvenire solo nell'arco di diversi anni. Sicuramente il professor Mazzella si riferiva al fatto che in pochi mesi alcuni progetti potevano essere lanciati, approvati e finanziati, come è stato.
Cosa è stato fatto?
In termini di "e-government", molta strada. La stessa parola "e-government", quattro anni fa, non era conosciuta dagli italiani. Oggi quasi tutti sanno che si tratta della pubblica amministrazione digitale, anche perché il numero di servizi on-line è elevato: sia a livello centrale che locale.
Molti Comuni non hanno neanche la connessione Adsl....
Ho anch'io lo stesso problema: abito a S. Fermo della Battaglia, vicino a Corno, dove la banda larga non arriva. Il digital divide è l'insieme delle differenze che c'è tra l'uso di nuove tecnologie e l'esistenza di infrastrutture. Una differenza che non ha solo dimensione geografica: questo, anzi, è uno degli aspetti meno importanti. Il divario non è strettamente fra Nord e Sud, ma soprattutto fra città e aree rurali. Si tratta di zone dove le aziende di telecomunicazioni, liberalizzate e privatizzate, sono meno incentivate ad andare. Chi risiede in un'area decentrata ha gli stessi problemi di chi vive in un paesino del Sud.
Ministro, che sta facendo il governo per risolvere questa situazione?
Abbiamo creato le società Infratel, voluta dal ministero delle Comunicazioni, e innovazione Italia, che ho voluto appositamente per i contenuti e i servizi, stanziando una prima tranche di 300 milioni di euro. Contiamo di proseguire con un piano pluriennale, per un investimento complessivo di un miliardo di euro, con cui cercheremo di favorire l'industria privata per realizzare infrastrutture in zone remote, soprattutto a Sud.