25 agosto 2005

Gas, luce, benzina: ecco l'autunno dello scontento

(Il Salvagente)
 
di Francesco Martini

L’Italia è un motore che va a petrolio: più di ogni altro paese europeo ci serviamo dell’oro nero per produrre energia. E adesso che il prezzo al barile ondeggia attorno ai 65 dollari, l’inverno delle famiglie italiane si annuncia più costoso che mai. Anche perché il governo fatica a proporre una politica energetica credibile, a breve o lungo termine.

 Le rilevazioni del centro di ricerca Rie di Bologna confermano le peggiori aspettative: le bollette italiane, che sono già le più alte d’Europa, crescono ancora. Si prevede un aumento della spesa familiare di almeno 47 euro all’anno, perché a partire dall’autunno le bollette della luce e del gas potrebbero aumentare, rispettivamente, del 5 e del 3,5 per cento. Lo stesso vale per la benzina: secondo una stima dell’Intesa consumatori, le famiglie, solo per riempire i serbatoi, spenderanno 270 euro in più rispetto al 2004. Sono previsioni parziali perché il prezzo del petrolio brucia tutte le proiezioni: negli ultimi due anni è cresciuto del 130 per cento e continua a salire.

Di fronte all’ultima impennata, le associazioni dei consumatori hanno dichiarato lo stato di emergenza. Chiedono che “il governo smetta di valutare, riflettere e approfondire: deve operare concretamente per calmierare i prezzi”. Ma in che modo?
Le associazioni reclamano, in primo luogo, la sterilizzazione delle accise sul petrolio, ovvero l’abbattimento delle imposte fisse di fabbricazione.
Come racconta la giornalista Cristina Corazza nel suo “Oro nero, conti in rosso”, appena uscito nelle librerie (edito da Il Sole24ore), per effetto dell’aumento del prezzo al barile, nel 2004 lo Stato ha incassato 3,2 miliardi di euro in più rispetto all’anno precedente. Gli incassi crescono grazie all’Iva, che rastrella il 20 per cento del prezzo finale del carburante, che a sua volta comprende le accise. In pratica, l’Iva è una “tassa sull’imposta”: l’apoteosi del prelievo fiscale.

Cominciamo dall’energia elettrica, che in autunno registrerà gli aumenti di prezzo più consistenti. La bolletta della luce nazionale è di circa 40 miliardi di euro all’anno. Lo Stato incassa 3 miliardi di euro; altri 3 miliardi e 300 milioni, invece, sono destinati alle voci “sussidi” e “oneri pregressi”. E’ su questi due capitoli di spesa (che contengono parecchie sorprese: li analizziamo più nel dettaglio nelle pagine seguenti) che il governo, proprio in questi giorni, sta concentrando l’attenzione. Fra le ipotesi al vaglio c’è quella di cartolarizzare gli importi. In parole povere: per intervenire sul costo delle bollette, lo Stato chiederebbe un prestito ad alcune banche, nella speranza che il prezzo del petrolio, nei prossimi mesi, si decida a scendere. Una bella scommessa, che non piace alle associazioni dei consumatori: “Siamo assolutamente contrari. Le cartolarizzazioni non sono una soluzione, ma uno stratagemma elettorale”, commenta Landi, sottolineando che “le banche, in ogni caso, dovranno essere rimborsate con gli interessi”, mentre il prezzo del petrolio, secondo alcune stime, nel futuro prossimo potrebbe schizzare a 70 dollari a barile.

Anche sulla bolletta del gas, secondo Landi, pesano parecchi oneri aggiuntivi, che si potrebbero tranquillamente “sacrificare”. “Gli incassi dello stato”, dice segretario di Adiconsum, “rastrellano la metà degli importi delle bollette. Anche in questo caso, quindi, si potrebbe intervenire per calmierare i prezzi. Non ha alcun senso, fra l’altro, che il costo del gas sia legato a quello del petrolio: questa situazione deve essere modificata. Sulle bollette influiscono in maniera pesante i condizionamenti del monopolio Eni. Ci troviamo a pagare gli effetti della mancanza di concorrenza”.

Passiamo alla benzina. I consumi di benzina, negli ultimi 4 anni, sono diminuiti del 16,5 per cento anche a causa del caro petrolio. Tanto che la Erg, in questi giorni, si fa pubblicità promettendo “il blocco dei prezzi”. Il prezzo alla pompa, infatti, adesso si avvicina pericolosamente agli 1,3 euro al litro: nella primavera del 2003, in media, non superava 1,05 euro al litro. Da marzo 2004 allo stesso mese del 2005, secondo Adiconsum, la benzina è aumentata di 10,5 centesimi di euro al litro, mentre la media europea è di 6,6 centesimi. “Un intervento sul prezzo finale – dice il segretario dell'associazione - è assolutamente necessario. La prima preoccupazione, infatti, sono i trasporti, che fanno da traino all’inflazione”. Anche perché l’Italia, dopo gli Stati Uniti, è il paese più “motorizzato” del mondo, con circa 660 veicoli ogni mille abitanti. Se aumenta il prezzo del petrolio, quindi, aumenta tutto il resto, a partire dagli alimentari, che bruciano benzina nel viaggio fino ai supermercati. Lo dimostrano i dati ufficiali: nel primo trimestre del 2005 proprio i costi dei trasporti (benzina e gasolio) e le spese per l’abitazione (soprattutto luce e gas) hanno raddoppiato la corsa dell’inflazione.


Uno pensa di pagare la bolletta della luce e invece si ritrova a finanziare le Ferrovie. Oppure fa benzina ma non si accorge di contribuire alla guerra in Abissinia (ma sì, quella del ’35). Gli italiani pagano e i loro soldi raggiungono le destinazioni più strane, per i motivi più incredibili. Col petrolio a 30 dollari al barile se ne poteva anche sorridere, ma il senso dell'ironia, ora che l’indice Brent punta dritto verso i 70 dollari, è passato un po’ a tutti.
Osserviamo da vicino le bollette dell’Enel: ogni anno raccolgono 40 miliardi di euro. Di questi l’8 per cento si traduce in imposte.
Un altro pesante capitolo della bolletta (circa il 6 per cento) è legato agli incentivi per le fonti di energia rinnovabili (i cosiddetti “Cip 6”). Lo stabilisce una legge del ‘92: chi produce energia idroelettrica, eolica o fotovoltaica, merita di essere incentivato. Fra l’altro, una direttiva della Comunità Europea prevede che, entro il 2010, almeno un quarto dell’energia nazionale provenga da fonti “ecologiche”. Eppure, la maggior parte delle imprese che ricevono gli incentivi (2 miliardi e 270 milioni di euro nel 2004) in realtà non produce energia rinnovabile. Infatti rientra nel programma di incentivi, alla voce “assimilate”, anche chi ottiene l’energia elettrica bruciando gli scarti di raffineria (Edison, per esempio). Non importa se queste aziende raccolgono già fortissimi guadagni: nel ’92 è stato deciso che avevano diritto a una fetta della torta. Perciò le “assimilate”, l’anno scorso, hanno ricevuto un bonus da 1 miliardo e 366 milioni di euro, molto più di quanto destinato ai produttori di energia rinnovabile (quelli veri) che hanno avuto 904 milioni di euro.
Quando il Garante per l’energia e il gas, nel 2003, ha provato a porre fine allo sperpero, le “assimilate”, per proteggere i loro investimenti, hanno presentato ricorso a Bruxelles, ottenendo ragione. Nei prossimi anni, quindi, continueremo a finanziare Edison.
Siamo tutti finanziatori inconsapevoli (con il 3 per cento della bolletta elettrica nazionale, alla voce “contratti speciali”), inoltre, dell’Alcoa, delle acciaierie di Terni (che ora appartengono a Thyssen Krupp) ma soprattutto delle Ferrovie dello Stato, che grazie al contributo degli italiani acquistano l’elettricità a un prezzo estremamente ridotto.
Vediamo cosa succede, invece, quando si fa rifornimento di benzina. Il 62 per cento del prezzo del carburante finisce direttamente nelle casse dello Stato, che raccoglie l’Iva sul prezzo finale del carburante ma incassa anche più a monte, grazie alle accise, che sono un’imposta fissa. Nell’ultimo secolo le accise sono servite da veicolo per alcuni provvedimenti di emergenza: ad esempio l’anno scorso, per rinnovare il contratto degli autoferrotranvieri, il prezzo della benzina è stato gonfiato di 2,01 centesimi di euro al litro. Il contratto è stato rinnovato, ma quei due centesimi continuiamo a pagarli. Per lo stesso motivo, tutte le volte che facciamo un litro di benzina, spendiamo 1,14 centesimi che almeno in teoria dovrebbero essere destinati alla missione italiana in Bosnia, che risale al 1996. Altri 0,59 centesimi se ne vanno per la missione in Libano del 1983 e così via, da un emergenza nazionale all’altra: spendiamo oltre 10 centesimi al litro per i terremoti dell’Irpinia, del Friuli e del Belice e per l’alluvione di Firenze del ’66, per il disastro del Vajont e per la crisi di Suez del 1956... ancora un centesimo per la guerra in Abissinia e il totale è raggiunto: 25 centesimi di euro (più Iva) che ci ricordano, a ogni litro di benzina, in che paese viviamo.