8 maggio 2014

Expo in corsa col freno tirato: così nascono le mazzette

di Francesco Martini

(Tg La7)


I cantieri sono aperti ma l'Expo già perde pezzi: le inchieste della magistratura arrivano come una palla demolitrice. Cerimoniali, meeting, strette di mano - si congelano tutti i riti preparatori, necessari per mettere in moto un evento colossale.

 Proprio oggi, a Milano, era prevista una conferenza per presentare alla stampa nuovi accordi con le Ferrovie dello Stato - annunciata la partecipazione di Giuseppe Sala, il commissario di Governo. Tutto da rifare: nel giorno degli arresti di Angelo Paris - general manager e direttore degli acquisti di Expo - alla conferenza sarebbe arrivato un esercito di giornalisti, ma non avrebbero fatto certo domande sui treni. Appuntamento annullato.
Si chiama Expo 2015, quindi fra un anno dovrebbe essere pronto. Due mesi fa Maroni ha ammesso: "siamo in ritardo", ma il barile delle responsabilità è rimbalzato dalla Regione al Comune, e poi al Governo - andata e ritorno - mentre i giorni passavano, finché si è deciso di mettere da parte le polemiche. Nuovo ordine di servizio: "tutti uniti per l'Expo". Ma per la magistratura milanese, il problema è un altro. Sono le mazzette.
I guai con la giustizia erano cominciati nel 2010: dalle indagini del procuratore aggiunto Ilda Boccassini sulla 'Ndrangheta in Lombardia era emerso un coinvolgimento diretto della mafia calabrese nella costruzione delle opere pubbliche lombarde. In seguito erano spuntati sospetti di infiltrazioni mafiose negli appalti per la "piastra" - il gigantesco lastrone di cemento che nel quartiere di Rho-Pero dovrebbe ospitare gli stand dei vari paesi. Subito dopo, la promessa di Maroni: "L'Expo sarà al cento per cento mafia-free". Ma a settembre 2013 il prefetto di Milano Francesco Tronca aveva avvertito il "Comitato di sorveglianza sulle grandi opere" del ministero dell'Interno: le interdizioni antimafia - stringenti - decimavano gli appalti e i subappalti dell'Expo, comprese le opere complementari - come la nuova tangenziale di Milano.
Da un lato, controlli pesanti, vincoli e garanzie che complicano le procedure di affidamento e la realizzazione dei lavori. Dall'altro, la necessità di correre, perchè i ritardi aumentano. Mentre crescono le tentazioni di tirare dritto, evitare le gare, saltare i controlli, accordarsi sottobanco - magari con l'aiuto di qualche mancia.
Turbativa d'asta, truffa, associazione a deliquere - con queste accuse, a marzo, sono stati arrestati Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture lombarde, insieme al responsabile per le gare e gli appalti della società della Regione, Pierpaolo Perez.
Stamattina, all'alba, è toccato - di nuovo - anche a Primo Greganti - proprio lui, il silenzioso "compagno Greganti". Quello che nell'inchiesta di Tangentopoli del '92, mentre i partiti implodevano sotto il torchio di Di Pietro, sulle cooperative rosse non ha mai detto una parola. L'accusa della Boccassini, oggi come ieri, è sempre quella: mentre la magistratura indagava, Greganti avrebbe coperto e protetto le cooperative. E poi Gianstefano Frigerio - anche lui arrestato oggi - ex parlamentare Dc, ex Forza Italia, altro reduce di Tangentopoli: lui - secondo il pm - proteggeva tutti i partiti.
Ed è una vecchia conoscenza delle cronache anche l'imprenditore Enrico Maltauro. L'Ansa è del giugno 1992, l'accusa, all'epoca, era corruzione aggravata. Il suo nome si era già visto in un'altra inchiesta, sempre per appalti e opere pubbliche, ma in Campania.