1 novembre 2012

Perché l'Istat sta dando i numeri


di Francesco Martini
e Francesco Bardaro Grella
 

(Rolling Stone - RS Inchiesta)

I numeri forniti dall'Istat servono a scrivere leggi, regolamenti, sono un punto di riferimento per stabilire, ad esempio, i flussi migratori o le tariffe dei servizi pubblici. Dalle gare d'appalto agli assegni di mantenimento per le coppie divorziate, la vita degli italiani è influenzata dalle statistiche ufficiali e basta un'oscillazione, lo spostamento di un decimale, per innescare effetti imprevedibili: fiumi di soldi cambiano direzione, ballano posti di lavoro, tremano intere famiglie.
Ecco perché l'accuratezza, la trasparenza e l'indipendenza del'Istituto nazionale di statistica dovrebbero essere fuori discussione. Guai se i dati fossero sbagliati, o peggio, manipolati ad arte. Se l'Istat, invece di fornire dati attendibili, desse letteralmente i numeri, sarebbe un disastro incalcolabile. E allora perché i conti non tornano?
Sembra incredibile, ma alcune statistiche proprio non quadrano. Per capire il motivo, Rolling Stone ha passato al setaccio numeri e tabelle. Ciò che abbiamo scoperto mette a dura prova la credibilità della statistica pubblica.

LA CRISI E' FINITA!
I dati sulla produzione industriale, ad esempio, ogni tanto impazziscono. E' successo nell'autunno del 2011, nel bel mezzo della crisi economica. Il quarto governo Berlusconi, in quel periodo, è prossimo alla caduta, bombardato da cattive notizie: colossi imprenditoriali in fallimento, capitani d'azienda che si lanciano dalla finestra, operai trincerati sui tetti delle fabbriche. Ma il 10 ottobre, a sorpresa, spunta una notizia controcorrente: la produzione industriale è cresciuta del 4,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
"E il dato migliore degli ultimi anni", titola il Corriere della Sera. "Nessuno se l'aspettava, gli uffici studi sono spiazzati", commenta il Sole24Ore. Per tanti italiani è un sollievo: forse la crisi non è così grave. Prendono fiato anche i ministri, e lo sprecano subito: "L'economia si muove, bisogna assecondarla" dice il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, e Paolo Romani, ministro allo Sviluppo, riconosce un "segnale incoraggiante, che dimostra la solidità dell'economia italiana".
La produzione di autoveicoli, in particolare, nel mese di agosto appare cresciuta in modo impressionante con un'impennata, addirittura, del 31,7% rispetto all'estate dell'anno prima.
Il merito, ovviamente, viene attribuito alla Fiat. A quanto pare la controversa strategia dell'amministratore Sergio Marchionne ha funzionato, fa da traino all'economia dell'intero Paese. Altro che Germania e Volkswagen: siamo noi il modello vincente!

UN NUOVO MIRACOLO DELL'ISTAT
Un nuovo miracolo italiano? Macché. Il miracolo l'ha fatto l'Istat, pubblicando un rapporto sulla produzione industriale che ha messo tutti pericolosamente fuori strada. Perché già nell'autunno del 2011 ci trovavamo sull'orlo di un baratro, come si è visto chiaramente nell'ultimo anno. La produzione è tuttora in calo e il mercato italiano dell'auto non è mai andato cosi male.
Possibile che l'Istat abbia preso una simile cantonata?
Per una volta, invece di ricevere i rapporti dell'Istituto come le tavole di Mosè, proviamo a verificare i dati.
Chiediamo all'Anfia, l'Associazione Italiana dei produttori di autoveicoli (Fiat in testa) di confermare l'aumento della produzione dichiarato dall'lstat. «Non esistono dati confrontabili» rispondono dall'associazione. «Abbiamo informazioni sulla produzione di automobili, ma per quel periodo non esistono dati sulla produzione di tutti gli altri autoveicoli».
Sono disponibili tutti i numeri per qualsiasi periodo precedente o successivo, ma non quelli utili por il confronto: una coincidenza davvero sfortunata. Pazienza, accontentiamoci delle sole automobili: quante macchine sono state costruite ad agosto del 2011 rispetto all'anno precedente? «Per quel mese - dicono dall'Anfia - l'aumento è stato del 6,1%».
Ma come? Poco più del 6%? Siamo molto, troppo lontani dal 31,7% dichiarato dell'Istituto italiano di statistica!

"I NOSTRI DATI SONO FUORVIANTI"
Il direttore dello statistiche congiunturali Istat per il 2011, Gian Paolo Oneto, sembra impassibile: «Il nostro dato è corretto. Lo confermiamo». Ma allora perché l'associazione dei costruttori denuncia numeri cinque volte inferiori? «Perché i dati dell'lstat e quelli dei costruttori - risponde Oneto - non sono direttamente confrontabili. Fra l'altro non bisogna dimenticare tutti gli altri autoveicoli, che noi abbiamo contato». C'è un solo problema: quanti camion, autobus, trattori o autocarri sarebbero mai stati costruiti, in un solo mese, nel bel mezzo di una crisi, tanto da giustificare numeri cosi diversi? Migliaia e migliaia di mezzi pesanti, tanti da surclassare la produzione di automobili. Possibile?
«In affetti - ammette il dirigente - è abbastanza improbabile».
Sembra l'ammissione di un errore, ma siamo appena all'inizio: «A dire il vero - spiega lo statistico - quei dati non dovrebbero essere presi in considerazione. Infatti per il mese di agosto applichiamo dei correttivi che tengono conto, ad esempio, dei giorni di vacanza. Ma se gli stabilimenti produttivi restano aperti allora le statistiche segnano un picco anomalo. Noi lo chiamiamo "overlay". Può capitare, è perfettamente normale».
Conclusione: i dati Istat dati sono completamente sballati? «No, no, sono formalmente corretti. Ma possono essere fuorvianti».
Ecco, è cosi che funziona: l'Istat sostiene che la produzione di autoveicoli è aumentata di un terzo, anche se in realtà, come si è visto, non è vero per niente. L'informazione sbagliata, però, si diffonde e influenza governo, Parlamento, imprenditori, sindacati e opinione pubblica, creando confusione e fraintendimenti in un momento vitale per il Paese. Ma se provi a chiederne conto scopri che siamo tutti fessi, ci siamo lasciati fuorviare da un correttivo, abbiamo abboccato a un volgarissimo "overlay". E tanti saluti.

SEMPRE GLI STESSI POVERI
Il metodo utilizzato dall'lstat è preoccupante, perché confonde il fine col mezzo: la correttezza delle formule sembra avere più importanza della verosimiglianza dei dati. Con questa filosofia l'Istituto rischia di fotografare un Paese parallelo.
Le distonie sono frequenti. Per la statistica pubblica, ad esempio, il numero dei poveri non cambia mai. Nel 2011 gli "indigenti' sono diminuiti dello 0,3%. L'anno prima erano aumentati, ma solo dello 0,6%. Insomma, sono più o meno sempre gli stessi. Ma se uno si affaccia alla finestra, in una grande città come Roma, nota un andirivieni di gente che fruga nei cassonetti. A modo loro fanno la spesa: negli ultimi due anni sono sempre più numerosi. Certo, l'esperienza diretta non conta nulla dal punto di vista statistico. Ma l'ultimo rapporto della Caritas merita qualche attenzione: gli ospiti delle mense dei poveri, nel 2010, sono aumentati addirittura del 25%. Di questi, il 40% sono italiani. I questionari e le telefonate dell'Istat, a quanto pare, nei dormitori non sono arrivati.
Per capire chi e come è stato interrogato basterebbe che l'Istat fornisse alcune informazioni sui metodi di ricerca, come fanno, del resto, tutti gli istituti statistici privati. Sui campioni di riferimento dovrebbe essere garantita la massima trasparenza: è opportuno sapere, ad esempio, quante persone o aziende sono state effettivamente contattate, con quali strumenti di rilevazione, e quante hanno effettivamente risposto. In qualsiasi pubblicazione statistica non dovrebbero mai mancare, a fianco allo percentuali, anche i valori assoluti. Ma l'Istat, molto spesso, non fornisce queste informazioni, neppure ai giornalisti. Motivo? "Segreto statistico".

"SEGRETO STATISTICO"
Il dirigente Istat Gian Paolo Oneto sostiene che «il segreto statistico può essere applicato solo in casi particolari. Ad esempio, per proteggere i dati relativi ad aziende in regime di concorrenza, o per rispettare la privacy dei soggetti interrogati. Per il resto, cerchiamo di diffondere il maggior numero di informazioni possibili».
Ma dov'è il confine fra trasparenza delle statistiche e riservatezza degli intervistati? E' l'Istat a decidere, di volta in volta, se ricorrere al "segreto statistico". E lo fa spesso e volentieri. Evitando di specificare, nella stragrande maggioranza dei casi, la percentuale di mancate risposte ai questionari.
Per scoprire le cifre è stata necessaria un'ispezione della Guardia di Finanza, nel 2007, su ordine della Corte dei conti. L'Istat avrebbe l'obbligo di multare chi rifiuta di rispondere ai questionari, ma la Corte dei conti ha scoperto che in cinque anni, dal 2002 al 7007, l'Istituto non aveva riscosso neppure una multa: mancavano all'appello la bollezza di 243 milioni di euro. Le omissioni dell'Istat sono state risolte dal governo Berlusconi: il procedimento della Corte dei conti è stato bloccato per decreto. Nel frattempo, però, grazie alle ispezioni, i dati segreti sono venuti allo scoperto.
Adesso sappiamo, per l'arco di cinque anni, qual è il tasso di mancate risposte ai questionari inviati dall'lstat: una quantità spaventosa, circa il 50%. Metà del moduli, insomma, finiva regolarmente nel cestino. Che valore hanno statistiche ottenute solo con la metà dei questionari?
Sarebbe interessante sapere se dopo il 2007 il tasso di mancate risposte ai questionari è rimasto così basso. Per capirlo servirebbe un'altra ispezione. Oppure, basterebbe definire esattamente quali e quante informazioni possono essere nascoste dietro al "segreto statistico".

CENSIMENTO DI TUTTE LE TERRE
Ogni 10 anni, comunque, in Italia si taglia la testa al toro e ci si conta tutti, uno per uno, mettendo da parte le ricerche a campione, come si faceva ai tempi di Erode: "Quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò un censimento di tutte le terre...".
Il censimento del 2011 è ancora fresco nella memoria degli italiani: diversamente dai decenni precedenti gli agenti rilevatori dell'lstat non sono andati a bussare casa per casa perché, per risparmiare, i questionari sono stati spediti per posta. Senza considerare, però, che la popolazione italiana è composta in gran parte da anziani, che in molti casi hanno avuto difficoltà a compilare i moduli da soli. Forse l'incidenza di errori è aumentata ma consoliamoci, almeno si è risparmiato il denaro dei contribuenti. Oppure no?
Il censimento del 2011 è costato 590 milioni di euro. II censimento precedente, con una pletora di rilevatori a libro paga, al netto dell'inflazione, era costato il 60% in meno. Altro che risparmio: in 10 anni il servizio è peggiorato ma i costi sono schizzati alle stelle.
Per conoscere i risultati del censimento, in ogni caso, dovremo aspettare ancora un paio d'anni. C'è da sperare che si risolva, una volta per tutte, il mistero degli abitanti del Comune di Roma. Infatti nel conteggio precedente l'Istat aveva perso per strada alcune centinaia di migliaia di romani. Secondo l'anagrafe la popolazione di Roma era di 2.820.247. Per l'Istat, 273mila in meno. A chi dare ragione? Un bel problema, visto che iI numero degli abitanti, fra l'altro, serve a calcolare i fondi necessari per il Servizio sanitario regionale. Trecentomila romani, a spanne, corrispondono a 450 milioni di euro all'anno. Perciò l'Istat ha ripetuto i calcoli. In un comunicato del 2006 si parla di una "prima revisione” che porta il numero dei romani a 2.696.543, a metà strada fra il dato del censimento e quello dell'anagrafe. Insomma, una soluzione salomonica: come è noto, la virtù sta nel mezzo.

(Per completezza, aggiungiamo che in seguito alla sbandierata “prima revisione dei dati" si attendeva, secondo logica, una "revisione definitiva", o perlomeno una "seconda revisione". Non si è visto nulla, ma a questo punto, dopo undici anni, non interessa più a nessuno).

COME VANNO TRENI E POSTE? LO DICONO POSTE E FERROVIE S.P.A.
Certe stranezze si potrebbero giustificare con i capricci della matematica, se davvero l’Istat fosse un meccanismo perfetto. Ma basta dare un’occhiata al Sistan, il Sistema statistico nazionale, per capire che la matematica non c’entra.
Dal 1989, per contenere i costi, l’Istat si serve di una miriade di enti sparsi sul territorio. In ogni ministero, ente locale, prefettura o Camera di commercio c’è un dipendente con il compito di spedire dati all’Istituto di statistica. Le circa 9.600 persone che svolgono questo lavoro in 3.468 uffici sparsi per l’Italia compongono la grande rete del Sistan. Non sono stipendiati dall’Istat ma direttamente dall’ente che dovrebbero tenere sotto osservazione. Se l’Istat ha bisogno di dati, ad esempio, sul Comune di Castel Castagna, li chiede alla signora Luciana, stipendiata dal sindaco di quel Comune.
Finché si tratta di Castel Castagna, pazienza. Ma quando tocca stabilire le spese, ad esempio, della Presidenza del Consiglio dei ministri, la faccenda comincia a farsi seria. Perché i dati sono forniti direttamente da un uomo del presidente del Consiglio. Secondo l’ultima relazione al Parlamento sul Sistan, un terzo degli addetti alla statistica svolge anche mansioni di “staff a supporto dei vertici”. La tentazione di “aggiustare” un po’ i numeri, quindi, potrebbe essere forte.
Vale lo stesso per i servizi pubblici: occorrono dati sui treni, sul servizio postale, sull’energia elettrica? Li forniscono Ferrovie dello Stato Spa, Poste Italiane Spa ed Enel spa, tutte società di diritto privato (Enel è anche quotata in Borsa) iscritte al Sistan.
In una raccomandazione della Commissione europea del 2005 è scritto che dovrebbe essere garantita “l’indipendenza professionale delle autorità statistiche da altri servizi e organismi politici, amministrativi o di regolamentazione, nonché da operatori del settore privato”. Ma in Italia, per sapere com’è il vino, preferiamo ancora chiedere all’oste.

ESPERTI IN STATISTICA? "NO, SOLO IN STATISTICHE"
La qualità dei dati grezzi, come abbiamo visto, dipende direttamente dalle capacità dei dipendenti degli enti pubblici che svolgono il lavoro (in conflitto d'interessi) per conto dell'Istat. Ma come vengono arruolati i custodi della statistica nazionale?
In realtà, dei 3.468 uffici del Sistan, solo il 5,6% si occupa esclusivamente di statistica. Gli altri sono accorpati ad altri uffici che hanno a che fare con amministrazione, gestione del personale, o con qualsiasi altra cosa. Dalla relazione al Parlamento oltretutto scopriamo che il 40% dei dipendenti di questi uffici non ha le più pallida idea di cosa dovrebbe fare. Un altro 50%, la metà, ha solo "un'idea generica". Si salva un decimo degli uffici: riponiamo in loro la nostra fiducia. Peccato che solo il 5,1% dei dipendenti abbia una laurea in scienze statistiche.
A questo proposito, nell'ottobre 2010, l'onorevole Maria Grazia Siliquini inviò un'interrogazione formale all'allora ministro della funzione pubblica Renato Brunetta. Che però preferì rispondere m forma riservata. Forse perché la risposta - che abbiamo recuperato - è troppo sottile per il grande pubblico. Sostiene Brunetta che i dirigenti degli uffici del Sistan "devono essere esperti in statistiche, piuttosto che in statistica". La differenza sta tutta in una sillaba. Non importa che siano scienziati, basta che sappiano cos'è un numero.
Insomma, sulla qualità delle fonti dei dati grezzi è meglio sorvolare. Resta la speranza che una volta spediti a Roma, in via Balbo, nella sede principale dell'Istat, i numeri siano cucinati in modo sapiente: anche con ingredienti di risulta, dopotutto, un bravo cuoco può sfornare un pasto dignitoso. All'Istat, in mancanza di meglio, si potrebbe chiedere almeno una garanzia: che le statistiche siano stilate al riparo da qualsiasi tentativo di manipolazione. Il nemico numero uno, da questo punto di vista, è il governo. Fra tutti i poteri dello Stato, senza dubbio l'esecutivo sarebbe più facilmente tentato dalla possibilità di esercitare pressioni sulla statistica pubblica.
E allora: chi nomina i dirigenti dell'Istat? Il Consiglio dei ministri, ovviamente! E i membri della Commissione di garanzia che dovrebbe vigilare sulla "imparzialità e completezza dell'informazione statistica" da chi sono nominati? Forse dal Parlamento? Ma no, sempre dal governo. 
E' la quadratura del cerchio. A questo punto ci chiediamo: da un punto di vista puramente statistico, qual è la probabilità che l'Istat fornisca informazioni attendibili?