di Francesco Martini
e Francesco Bardaro Grella
I numeri forniti dall'Istat servono a scrivere leggi, regolamenti,
sono un punto di riferimento per stabilire, ad esempio, i flussi
migratori o le tariffe dei servizi pubblici. Dalle gare d'appalto
agli assegni di mantenimento per le coppie divorziate, la vita degli
italiani è influenzata dalle statistiche ufficiali e basta
un'oscillazione, lo spostamento di un decimale, per innescare effetti
imprevedibili: fiumi di soldi cambiano direzione, ballano posti di
lavoro, tremano intere famiglie.
Ecco perché
l'accuratezza, la trasparenza e l'indipendenza del'Istituto nazionale
di statistica dovrebbero essere fuori discussione. Guai se i dati
fossero sbagliati, o peggio, manipolati ad arte. Se l'Istat, invece
di fornire dati attendibili, desse letteralmente i numeri, sarebbe un
disastro incalcolabile. E allora perché i conti non tornano?
Sembra incredibile,
ma alcune statistiche proprio non quadrano. Per capire il motivo,
Rolling Stone ha passato al setaccio numeri e tabelle. Ciò che
abbiamo scoperto mette a dura prova la credibilità della statistica
pubblica.
I dati sulla
produzione industriale, ad esempio, ogni tanto impazziscono. E'
successo nell'autunno del 2011, nel bel mezzo della crisi economica.
Il quarto governo Berlusconi, in quel periodo, è prossimo alla
caduta, bombardato da cattive notizie: colossi imprenditoriali in
fallimento, capitani d'azienda che si lanciano dalla finestra, operai
trincerati sui tetti delle fabbriche. Ma il 10 ottobre, a sorpresa,
spunta una notizia controcorrente: la produzione industriale è
cresciuta del 4,3% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente.
"E il dato
migliore degli ultimi anni", titola il Corriere della Sera.
"Nessuno se l'aspettava, gli uffici studi sono spiazzati",
commenta il Sole24Ore. Per tanti italiani è un sollievo: forse la
crisi non è così grave. Prendono fiato anche i ministri, e lo
sprecano subito: "L'economia si muove, bisogna assecondarla"
dice il ministro del Welfare Maurizio Sacconi, e Paolo Romani,
ministro allo Sviluppo, riconosce un "segnale incoraggiante, che
dimostra la solidità dell'economia italiana".
La produzione di
autoveicoli, in particolare, nel mese di agosto appare cresciuta in
modo impressionante con un'impennata, addirittura, del 31,7% rispetto
all'estate dell'anno prima.
Il merito,
ovviamente, viene attribuito alla Fiat. A quanto pare la controversa
strategia dell'amministratore Sergio Marchionne ha funzionato, fa da
traino all'economia dell'intero Paese. Altro che Germania e
Volkswagen: siamo noi il modello vincente!
UN NUOVO MIRACOLO DELL'ISTAT
Un nuovo miracolo
italiano? Macché. Il miracolo l'ha fatto l'Istat, pubblicando un
rapporto sulla produzione industriale che ha messo tutti
pericolosamente fuori strada. Perché già nell'autunno del 2011 ci
trovavamo sull'orlo di un baratro, come si è visto chiaramente
nell'ultimo anno. La produzione è tuttora in calo e il mercato
italiano dell'auto non è mai andato cosi male.
Possibile che l'Istat abbia preso una simile cantonata?
Possibile che l'Istat abbia preso una simile cantonata?
Per una volta,
invece di ricevere i rapporti dell'Istituto come le tavole
di Mosè, proviamo a verificare i dati.
Chiediamo all'Anfia,
l'Associazione Italiana dei produttori di autoveicoli (Fiat in testa)
di confermare l'aumento della produzione dichiarato dall'lstat. «Non
esistono dati confrontabili» rispondono dall'associazione. «Abbiamo
informazioni sulla produzione di automobili, ma per quel periodo non
esistono dati sulla produzione di tutti gli altri autoveicoli».
Sono disponibili tutti i numeri per qualsiasi periodo precedente o successivo, ma non quelli utili por il confronto: una coincidenza davvero sfortunata. Pazienza, accontentiamoci delle sole automobili: quante macchine sono state costruite ad agosto del 2011 rispetto all'anno precedente? «Per quel mese - dicono dall'Anfia - l'aumento è stato del 6,1%».
Sono disponibili tutti i numeri per qualsiasi periodo precedente o successivo, ma non quelli utili por il confronto: una coincidenza davvero sfortunata. Pazienza, accontentiamoci delle sole automobili: quante macchine sono state costruite ad agosto del 2011 rispetto all'anno precedente? «Per quel mese - dicono dall'Anfia - l'aumento è stato del 6,1%».
Ma come? Poco più
del 6%? Siamo molto, troppo lontani dal 31,7% dichiarato
dell'Istituto italiano di statistica!
"I NOSTRI DATI SONO FUORVIANTI"
Il direttore dello
statistiche congiunturali Istat per il 2011, Gian Paolo Oneto, sembra
impassibile: «Il nostro dato è corretto. Lo confermiamo». Ma
allora perché l'associazione dei costruttori denuncia numeri cinque
volte inferiori? «Perché i dati dell'lstat e quelli dei costruttori
- risponde Oneto - non sono direttamente confrontabili. Fra l'altro
non bisogna dimenticare tutti gli altri autoveicoli, che noi abbiamo
contato». C'è un solo problema: quanti camion, autobus, trattori o
autocarri sarebbero mai stati costruiti, in un solo mese, nel bel
mezzo di una crisi, tanto da giustificare numeri cosi diversi?
Migliaia e migliaia di mezzi pesanti, tanti da surclassare la
produzione di automobili. Possibile?
«In affetti - ammette il dirigente - è abbastanza improbabile».
«In affetti - ammette il dirigente - è abbastanza improbabile».
Sembra l'ammissione
di un errore, ma siamo appena all'inizio: «A dire il vero - spiega
lo statistico - quei dati non dovrebbero essere presi in
considerazione. Infatti per il mese di agosto applichiamo dei
correttivi che tengono conto, ad esempio, dei giorni di vacanza. Ma
se gli stabilimenti produttivi restano aperti allora le statistiche
segnano un picco anomalo. Noi lo chiamiamo "overlay". Può
capitare, è perfettamente normale».
Conclusione: i dati Istat dati
sono completamente sballati? «No, no, sono formalmente corretti. Ma
possono essere fuorvianti».
Ecco, è cosi che
funziona: l'Istat sostiene che la produzione di autoveicoli è
aumentata di un terzo, anche se in realtà, come si è visto, non è
vero per niente. L'informazione sbagliata, però, si diffonde e
influenza governo, Parlamento, imprenditori, sindacati e opinione
pubblica, creando confusione e fraintendimenti in un momento vitale
per il Paese. Ma se provi a chiederne conto scopri che siamo tutti
fessi, ci siamo lasciati fuorviare da un correttivo, abbiamo
abboccato a un volgarissimo "overlay". E tanti saluti.
SEMPRE GLI STESSI POVERI
Il metodo utilizzato
dall'lstat è preoccupante, perché confonde il fine col mezzo: la
correttezza delle formule sembra avere più importanza della
verosimiglianza dei dati. Con questa filosofia l'Istituto rischia di
fotografare un Paese parallelo.
Le distonie sono
frequenti. Per la statistica pubblica, ad esempio, il numero dei
poveri non cambia mai. Nel 2011 gli "indigenti' sono diminuiti
dello 0,3%. L'anno prima erano aumentati, ma solo dello 0,6%.
Insomma, sono più o meno sempre gli stessi. Ma se uno si affaccia
alla finestra, in una grande città come Roma, nota un andirivieni di
gente che fruga nei cassonetti. A modo loro fanno la spesa: negli
ultimi due anni sono sempre più numerosi. Certo, l'esperienza
diretta non conta nulla dal punto di vista statistico. Ma l'ultimo
rapporto della Caritas merita qualche attenzione: gli ospiti delle
mense dei poveri, nel 2010, sono aumentati addirittura del 25%. Di
questi, il 40% sono italiani. I questionari e le telefonate
dell'Istat, a quanto pare, nei dormitori non sono arrivati.
Per capire chi e
come è stato interrogato basterebbe che l'Istat fornisse alcune
informazioni sui metodi di ricerca, come fanno, del resto, tutti gli
istituti statistici privati. Sui campioni di riferimento dovrebbe
essere garantita la massima trasparenza: è opportuno sapere, ad
esempio, quante persone o aziende sono state effettivamente
contattate, con quali strumenti di rilevazione, e quante hanno
effettivamente risposto. In qualsiasi pubblicazione statistica non
dovrebbero mai mancare, a fianco allo percentuali, anche i valori
assoluti. Ma l'Istat, molto spesso, non fornisce queste informazioni,
neppure ai giornalisti. Motivo? "Segreto statistico".
"SEGRETO STATISTICO"
Il dirigente Istat
Gian Paolo Oneto sostiene che «il segreto statistico può essere
applicato solo in casi particolari. Ad esempio, per proteggere i dati
relativi ad aziende in regime di concorrenza, o per rispettare la
privacy dei soggetti interrogati. Per il resto, cerchiamo di
diffondere il maggior numero di informazioni possibili».
Ma dov'è il confine
fra trasparenza delle statistiche e riservatezza degli intervistati?
E' l'Istat a decidere, di volta in volta, se ricorrere al "segreto
statistico". E lo fa spesso e volentieri. Evitando di
specificare, nella stragrande maggioranza dei casi, la percentuale di
mancate risposte ai questionari.
Per scoprire le
cifre è stata necessaria un'ispezione della Guardia di Finanza, nel
2007, su ordine della Corte dei conti. L'Istat avrebbe
l'obbligo di multare chi rifiuta di rispondere ai questionari, ma la
Corte dei conti ha scoperto che in cinque anni, dal 2002 al 7007,
l'Istituto non aveva riscosso neppure una multa: mancavano
all'appello la bollezza di 243 milioni di euro. Le omissioni
dell'Istat sono state risolte dal governo Berlusconi: il procedimento
della Corte dei conti è stato bloccato per decreto. Nel frattempo,
però, grazie alle ispezioni, i dati segreti sono venuti allo
scoperto.
Adesso sappiamo, per
l'arco di cinque anni, qual è il tasso di mancate risposte ai
questionari inviati dall'lstat: una quantità spaventosa, circa il
50%. Metà del moduli, insomma, finiva regolarmente nel cestino. Che
valore hanno statistiche ottenute solo con la metà dei questionari?
Sarebbe interessante
sapere se dopo il 2007 il tasso di mancate risposte ai questionari è
rimasto così basso. Per capirlo servirebbe un'altra ispezione.
Oppure, basterebbe definire esattamente quali e quante informazioni
possono essere nascoste dietro al "segreto statistico".
CENSIMENTO DI TUTTE LE TERRE
Ogni 10 anni,
comunque, in Italia si taglia la testa al toro e ci si conta tutti,
uno per uno, mettendo da parte le ricerche a campione, come si faceva
ai tempi di Erode: "Quei giorni un decreto di Cesare Augusto
ordinò un censimento di tutte le terre...".
Il censimento del
2011 è ancora fresco nella memoria degli italiani: diversamente dai
decenni precedenti gli agenti rilevatori dell'lstat non sono andati a
bussare casa per casa perché, per risparmiare, i questionari sono
stati spediti per posta. Senza considerare, però, che la popolazione
italiana è composta in gran parte da anziani, che in molti casi
hanno avuto difficoltà a compilare i moduli da soli. Forse
l'incidenza di errori è aumentata ma consoliamoci, almeno si è
risparmiato il denaro dei contribuenti. Oppure no?
Il censimento del
2011 è costato 590 milioni di euro. II censimento precedente, con
una pletora di rilevatori a libro paga, al netto dell'inflazione, era
costato il 60% in meno. Altro che risparmio: in 10 anni il servizio è
peggiorato ma i costi sono schizzati alle stelle.
Per conoscere i risultati del censimento, in ogni caso, dovremo aspettare ancora un paio d'anni. C'è da sperare che si risolva, una volta per tutte, il mistero degli abitanti del Comune di Roma. Infatti nel conteggio precedente l'Istat aveva perso per strada alcune centinaia di migliaia di romani. Secondo l'anagrafe la popolazione di Roma era di 2.820.247. Per l'Istat, 273mila in meno. A chi dare ragione? Un bel problema, visto che iI numero degli abitanti, fra l'altro, serve a calcolare i fondi necessari per il Servizio sanitario regionale. Trecentomila romani, a spanne, corrispondono a 450 milioni di euro all'anno. Perciò l'Istat ha ripetuto i calcoli. In un comunicato del 2006 si parla di una "prima revisione” che porta il numero dei romani a 2.696.543, a metà strada fra il dato del censimento e quello dell'anagrafe. Insomma, una soluzione salomonica: come è noto, la virtù sta nel mezzo.
(Per completezza, aggiungiamo che in seguito alla sbandierata “prima revisione dei dati" si attendeva, secondo logica, una "revisione definitiva", o perlomeno una "seconda revisione". Non si è visto nulla, ma a questo punto, dopo undici anni, non interessa più a nessuno).
Per conoscere i risultati del censimento, in ogni caso, dovremo aspettare ancora un paio d'anni. C'è da sperare che si risolva, una volta per tutte, il mistero degli abitanti del Comune di Roma. Infatti nel conteggio precedente l'Istat aveva perso per strada alcune centinaia di migliaia di romani. Secondo l'anagrafe la popolazione di Roma era di 2.820.247. Per l'Istat, 273mila in meno. A chi dare ragione? Un bel problema, visto che iI numero degli abitanti, fra l'altro, serve a calcolare i fondi necessari per il Servizio sanitario regionale. Trecentomila romani, a spanne, corrispondono a 450 milioni di euro all'anno. Perciò l'Istat ha ripetuto i calcoli. In un comunicato del 2006 si parla di una "prima revisione” che porta il numero dei romani a 2.696.543, a metà strada fra il dato del censimento e quello dell'anagrafe. Insomma, una soluzione salomonica: come è noto, la virtù sta nel mezzo.
(Per completezza, aggiungiamo che in seguito alla sbandierata “prima revisione dei dati" si attendeva, secondo logica, una "revisione definitiva", o perlomeno una "seconda revisione". Non si è visto nulla, ma a questo punto, dopo undici anni, non interessa più a nessuno).
COME VANNO TRENI E POSTE? LO DICONO POSTE E FERROVIE S.P.A.
Certe stranezze si potrebbero
giustificare con i capricci della matematica, se davvero l’Istat
fosse un meccanismo perfetto. Ma basta dare un’occhiata al Sistan,
il Sistema statistico nazionale, per capire che la matematica non
c’entra.
Dal 1989, per contenere i costi,
l’Istat si serve di una miriade di enti sparsi sul territorio. In
ogni ministero, ente locale, prefettura o Camera di commercio c’è
un dipendente con il compito di spedire dati all’Istituto di
statistica. Le circa 9.600 persone che svolgono questo lavoro in
3.468 uffici sparsi per l’Italia compongono la grande rete del
Sistan. Non sono stipendiati dall’Istat ma direttamente dall’ente
che dovrebbero tenere sotto osservazione. Se l’Istat ha bisogno di
dati, ad esempio, sul Comune di Castel Castagna, li chiede alla
signora Luciana, stipendiata dal sindaco di quel Comune.
Finché si tratta di Castel Castagna,
pazienza. Ma quando tocca stabilire le spese, ad esempio, della
Presidenza del Consiglio dei ministri, la faccenda comincia a farsi
seria. Perché i dati sono forniti direttamente da un uomo del
presidente del Consiglio. Secondo l’ultima relazione al Parlamento
sul Sistan, un terzo degli addetti alla statistica svolge anche
mansioni di “staff a supporto dei vertici”. La tentazione di
“aggiustare” un po’ i numeri, quindi, potrebbe essere forte.
Vale lo stesso per i servizi pubblici:
occorrono dati sui treni, sul servizio postale, sull’energia elettrica?
Li forniscono Ferrovie dello Stato Spa, Poste Italiane Spa ed Enel
spa, tutte società di diritto privato (Enel è anche quotata in
Borsa) iscritte al Sistan.
In una raccomandazione della
Commissione europea del 2005 è scritto che dovrebbe essere garantita
“l’indipendenza professionale delle autorità statistiche da
altri servizi e organismi politici, amministrativi o di
regolamentazione, nonché da operatori del settore privato”. Ma in
Italia, per sapere com’è il vino, preferiamo ancora chiedere
all’oste.
ESPERTI IN STATISTICA? "NO, SOLO IN STATISTICHE"
La qualità dei dati
grezzi, come abbiamo visto, dipende direttamente dalle capacità dei
dipendenti degli enti pubblici che svolgono il lavoro (in conflitto
d'interessi) per conto dell'Istat. Ma come vengono arruolati i
custodi della statistica nazionale?
In realtà, dei
3.468 uffici del Sistan, solo il 5,6% si occupa esclusivamente di
statistica. Gli altri sono accorpati ad altri uffici che hanno a che
fare con amministrazione, gestione del personale, o con qualsiasi
altra cosa. Dalla relazione al Parlamento oltretutto scopriamo che il
40% dei dipendenti di questi uffici non ha le più pallida idea di
cosa dovrebbe fare. Un altro 50%, la metà, ha solo "un'idea generica". Si
salva un decimo degli uffici: riponiamo in loro la nostra fiducia.
Peccato che solo il 5,1% dei dipendenti abbia una laurea in scienze
statistiche.
A questo proposito, nell'ottobre 2010, l'onorevole Maria Grazia Siliquini inviò un'interrogazione formale all'allora ministro della funzione pubblica Renato Brunetta. Che però preferì rispondere m forma riservata. Forse perché la risposta - che abbiamo recuperato - è troppo sottile per il grande pubblico. Sostiene Brunetta che i dirigenti degli uffici del Sistan "devono essere esperti in statistiche, piuttosto che in statistica". La differenza sta tutta in una sillaba. Non importa che siano scienziati, basta che sappiano cos'è un numero.
A questo proposito, nell'ottobre 2010, l'onorevole Maria Grazia Siliquini inviò un'interrogazione formale all'allora ministro della funzione pubblica Renato Brunetta. Che però preferì rispondere m forma riservata. Forse perché la risposta - che abbiamo recuperato - è troppo sottile per il grande pubblico. Sostiene Brunetta che i dirigenti degli uffici del Sistan "devono essere esperti in statistiche, piuttosto che in statistica". La differenza sta tutta in una sillaba. Non importa che siano scienziati, basta che sappiano cos'è un numero.
Insomma, sulla
qualità delle fonti dei dati grezzi è meglio sorvolare. Resta la
speranza che una volta spediti a Roma, in via Balbo, nella sede
principale dell'Istat, i numeri siano cucinati in modo sapiente:
anche con ingredienti di risulta, dopotutto, un bravo cuoco può
sfornare un pasto dignitoso. All'Istat, in mancanza di meglio, si potrebbe
chiedere almeno una garanzia: che le statistiche siano stilate al riparo da qualsiasi
tentativo di manipolazione. Il nemico numero uno, da questo punto di
vista, è il governo. Fra tutti i poteri dello Stato, senza dubbio
l'esecutivo sarebbe più facilmente tentato dalla possibilità di esercitare
pressioni sulla statistica pubblica.
E allora: chi nomina
i dirigenti dell'Istat? Il Consiglio dei ministri, ovviamente! E i
membri della Commissione di garanzia che dovrebbe vigilare sulla
"imparzialità e completezza dell'informazione statistica"
da chi sono nominati? Forse dal Parlamento? Ma no, sempre dal
governo.
E' la quadratura del cerchio. A questo punto ci chiediamo: da un punto di vista puramente statistico, qual è la probabilità che l'Istat fornisca informazioni attendibili?
E' la quadratura del cerchio. A questo punto ci chiediamo: da un punto di vista puramente statistico, qual è la probabilità che l'Istat fornisca informazioni attendibili?