13 ottobre 2005

Digitale terrestre, la fretta è sospetta

(Il Salvagente)
  
di Francesco Martini

Come si fa a costringere un intero paese, in piena crisi dei consumi, ad acquistare in massa, in breve tempo e a prezzo maggiorato un bene non strettamente necessario? La risposta si trova in Italia e si chiama digitale terrestre. Anche quest’anno nella Finanziaria è stato trovato posto per gli incentivi all’acquisto dei decoder, che hanno prezzi insolitamente alti. L'ennesimo contributo pubblico, di sicuro, non aiuta a farli scendere.
“Gli incentivi sono ancora una priorità” spiegano dal ministero delle Comunicazioni. Questa “priorità” trova giustificazione nella legge Gasparri che prevede, a gennaio del 2006, lo spegnimento della televisione analogica, con sei anni di anticipo rispetto agli obblighi indicati dall’Unione Europea.
Ma quella scadenza, in realtà, non ci crede nessuno.
Perché la disattivazione delle frequenze lascerebbe senza televisione circa 20 milioni di italiani che non si sono ancora adeguati alla rivoluzione digitale. Ciò nonostante il ministro delle Comunicazioni, Mario Landolfi, continua a sfidare il senso comune e proprio in questi giorni ha voluto ricordare che la data dello spegnimento “non deve essere considerata soltanto ideologica”. Nel frattempo il presidente dell'Autorità garante delle Comunicazioni, Corrado Calabrò, esprime la speranza che il passaggio “avvenga almeno per il 2008”.
Secondo il ministro Landolfi quei venti milioni di “distratti” che non hanno il digitale, se non vogliono rinunciare alla Tv, dovrebbero precipitarsi nei negozi di elettronica di consumo. Sugli scaffali troverebbero i decoder più costosi d’Europa. Proprio così: in Italia il digitale terrestre costa il doppio che in Inghilterra. I nostri decoder sono più costosi anche rispetto alla Francia e alla Germania. Guarda caso, il prezzo italiano in media è “gonfiato” di circa 70 euro, che è esattamente l’ammontare dell’incentivo statale.
Abbiamo spulciato le offerte delle catene inglesi, tedesche e francesi: nei diversi paesi, quasi sempre, non si trovano gli stessi modelli di decoder ma la differenza di prezzo rispetto all'Italia, per prodotti simili e con identiche funzioni, è evidente. Eppure Loris De Poli, dall’ufficio marketing di Telesystem (che vende il 20 per cento dei decoder italiani), sostiene il contrario: “Non è vero che nel resto d’Europa il prezzo dei decoder cambia. Anche perché i modelli sono sempre diversi. L’incentivo non influisce sulla formazione dei prezzi. Lei mi trovi un decoder che costa meno e io corro a comprarlo”. Il signor De Poli è accontentato: basta una semplice ricerca su Internet.
Fra l'altro, questi strumenti sono dotati di una tecnologia relativamente modesta: “Io li chiamo ‘videoregistratori senza nastro’” commenta ridendo un tecnico romano che nei decoder mette le mani tutti i giorni, perché li installa e li aggiusta. “La tecnologia è basilare. Da questa prospettiva il prezzo è davvero alto”. Per abbattere i costi la maggior parte sono assemblati in Cina: è il caso dei modelli Amstrad, che vende il 7 per cento dei decoder italiani. L'azienda è di proprietà di Paolo Berlusconi, fratello del presidente del Consiglio. Amstrad, fra l'altro, è sponsor ufficiale del Milan, sempre di proprietà di Berlusconi. Vale la pena ricordare che Mediaset, la Tv di Berlusconi, sul digitale terrestre trasmette tutto il calcio di serie A e che uno dei consiglieri di amministrazione è Adriano Galliani, presidente della Lega calcio e amministratore delegato del Milan. Se il conflitto d'interessi fosse sfuggito a qualcuno, ecco l'ultimo indizio: gli apparecchi Amstrad sono venduti in abbinamento alle tessere per il digitale a pagamento Mediaset. Che dicono le Autorità di controllo?

"Rifiutiamo di vendere decoder"
Riccardo Franzone, direttore organizzativo di Jepssen, sul digitale terrestre naviga contro corrente. Jepssen è un’industria italiana che produce televisori, lettori Dvd e decoder. Abbiamo chiesto al dirigente di spiegarci come mai il prezzo dei decoder è più alto in Italia che nel resto d’Europa. “Io rispondo volentieri - dice Franzone - ma Jepssen, in Italia, i decoder rifiuta di venderli”.
Come sarebbe?
Vendere questi prodotti in Italia significa tradire la fiducia dei clienti. Cosa che noi non abbiamo mai fatto.
Ci parli di questo “tradimento”.
Il digitale terrestre, in Italia, ufficialmente è una tecnologia sperimentale. Perciò chi trasmette non deve sottostare a obblighi particolari. In alcune zone del paese quindi alcuni canali non si possono ancora vedere. Fra l’altro non c’è chiarezza sui formati delle trasmissioni, che potrebbero cambiare da un momento all’altro, rendendo obsoleti prodotti appena venduti. Non possiamo vendere un decoder che magari, in breve tempo, non potrà essere utilizzato. La nostra è una scelta etica.
Cos’è questa storia dei formati?
Abbiamo buoni motivi di credere che cambieranno.
Quindi Jepssen ha deciso di non produrre decoder.
No, no, guardi, noi li produciamo eccome. E con ottimi risultati. Ma preferiamo esportarli.
E i prezzi al dettaglio?
Dipende dal mercato e dalle tasse nei diversi paesi. Comunque si aggirano tutti attorno ai 70 euro.
Torniamo alla prima domanda: perché in Italia costano tanto?
Perché c’è un incentivo statale. Invece di aiutare i consumatori è un invito a gonfiare i prezzi. Basterà aspettare un paio d’anni. Faccio una previsione: il prezzo della maggior parte dei decoder scenderà a 50 euro. Solo allora, quando sarà stabilizzato, cominceremo a vendere anche in Italia. Jepssen, per adesso, se ne chiama fuori.